Riflessioni a mente fredda
Lombardia, 25/03 – 01/04/2020
Delle varie foto che ho di quei giorni ho scelto questa, l’ultima che avrei mai pensato di condividere. L’ho scattata dopo il mio primo soccorso a rischio covid. Racchiude tutto. I primi segni sul viso, le prime di una lunga serie di lacrime, i capelli schiacciati sciolti dall’elastico. Imprime in un’immagine i segni fisici e psicologici che inevitabilmente chiunque abbia avuto un confronto diretto con questa emergenza porterà per sempre. È passato quasi un mese da quel giorno ormai ma il ricordo è nitido e impresso come a fuoco nella mente. Sono partita convinta della mia scelta, convinta di essere in grado di affrontarla e con la giusta riserva di incognite che è sempre bene mantenere quando non sai cosa ti aspetterà. La realtà mi ha sopraffatta. È difficile capire ed esprimere bene cosa abbia provato ma “sopraffazione” penso sia il termine più adatto. Sono stata sopraffatta dalla paura, dalla fatica, dalla stanchezza. Ogni giorno cercavo di recuperare le forze per affrontare il successivo, l’adrenalina mi aiutava in servizio ma appena arrivato il momento del riposo lo sconforto era pronto ad aspettarmi. Questo virus è un nemico invisibile che ti colpisce senza che tu te ne accorga e fa strage. Ti strappa dagli affetti, ti isola dal mondo, ti rinchiude in una gabbia di paura e solitudine che ha le sbarre forti. In questa situazione l’empatia non mi ha aiutata. Il mio corpo ha succhiato come linfa l’energia che lo circondava e questo, misto all’intenso ritmo di lavoro, mi ha inevitabilmente fatta crollare. Non scrivo tutto ciò per fare terrorismo o per incrementare la paura, non è assolutamente il mio intento. Lo scrivo perché chiunque decida nella vita di fare un mestiere o un’attività di volontariato che lo porterà a prendersi cura degli altri deve sapere di non essere indistruttibile. Il momento del confronto arriverà per tutti e dobbiamo essere bravi ad affrontarlo. Questi sette giorni in Lombardia sono stati il mio primo vero momento di confronto. Mi hanno messa di fronte ai miei limiti di donna, di essere umano, di futuro medico. Non è una frase retorica “non siamo supereroi” e chiunque la utilizzi spero sia consapevole del significato che porta. Siamo persone e chiunque di noi ha delle fragilità, deve conoscerle e deve affrontarle. Non partite se non siete sicuri di avere una rete di protezione che vi circonda perché non potrete mai sapere come reagirete in una situazione di emergenza, non ci conosciamo mai abbastanza anche se lo pensiamo. Non nascondete il dolore e la paura, perché non sono segni di debolezza ma emozioni che appartengono ad ogni essere umano. Raccontatele le emozioni, tutte. Il primo passo per affrontare un problema è riconoscere di averlo e parlarne. Ringrazio tutte le persone che mi sono state vicine in quei giorni perché ciascuna di loro è stata una maglia della mia personale rete di protezione. I miei amici dell’università, il prof. Marco Testa, la mia famiglia, il mio ragazzo, il mio comitato, il mio collega di avventura Andrea e la nostra psicologa di riferimento Valentina (piuttosto sfruttata!). Di tutta l’esperienza mi resta una certezza: la CRI e la medicina sono le scelte più belle che abbia fatto nella vita.
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