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Il tempo e la comunicazione del paziente

A cura di Sergio Ardis

All’inizio dei corsi di comunicazione per sanitari, inevitabilmente e forse anche per fortuna, i colleghi o gli studenti commentano che la formazione sulla comunicazione è inutile perché durante le visite non c’è abbastanza tempo per comunicare bene con i pazienti.
La mancanza di tempo lamentata dai medici e dai sanitari in generale, insieme ai sovraccarichi di lavoro indubbiamente risponde al vero soprattutto nella sanità pubblica. La mancanza di medici nelle corsie degli ospedali dovuta ad errori nei cambiamenti normativi che hanno introdotto il numero chiuso nella facoltà di medicina e nelle scuole di specializzazione, è un’emergenza attuale. La carenza di infermieri è un tema globale da sempre (WHO, 2018). In ogni caso è vero che un corso di comunicazione non aumenta il tempo disponibile per le visite mediche né influisce direttamente sui carichi di lavoro. Tuttavia prima di decretare l’inutilità della formazione sulla comunicazione o l’inapplicabilità dei modelli proposti è necessaria una riflessione su alcune evidenze disponibili relativamente al tempo.
I medici non sanno ascoltare. Vari studi hanno dimostrato che i medici interrompono i loro pazienti prima che siano trascorsi una ventina di secondi dall’inizio dell’esposizione del problema che li ha portati in ambulatorio (Beckman, 1984; Marvel, 1999; Dyche, 2005; Rhodes, 2004), ciò vale perfino per i medici veterinari (Dysart, 2011). Le conseguenze sono varie. Fra queste anche una maggior durata della visita perché a volte il paziente interrotto non è riuscito a dire al medico il problema principale, salvo poi riuscire a dirlo a metà visita o al termine e costringere in questi casi il medico ad iniziare daccapo il suo lavoro. Le evidenze citate ci dimostrano che, permettendo al paziente di esporre il suo problema senza essere interrotto e sollecitandolo ad esporre subito ulteriori altri problemi, è possibile ottimizzare il tempo disponibile.
A questo punto qualche discente dei nostri corsi afferma «Ma se fai così, non smettono più di parlare…!»
L’idea che i pazienti lasciati liberi di parlare non si fermino più, ci viene inculcata all’università dove spesso i nostri tutor ci hanno insegnato a non far parlare i pazienti (i miei studenti mi garantiscono che questa pratica continua immutata ancora oggi). Ma è vero che i pazienti non smettono di parlare?
Nello studio di Beckman (1984) le interruzioni sono avvenute tra i 5 e i 50 secondi dalla richiesta iniziale di informazioni fatta dal medico. Per contro nello studio è stato osservato che i pazienti che riescono a completare la presentazione del loro problema in genere non utilizzano più di 60 secondi e comunque non oltre i 160.
Un neurologo londinese ha condotto un esperimento molto semplice per dare una risposta al luogo comune contenuto nell’obiezione riportata prima (Blau, 1989). Ha visitato 100 pazienti in quattro ambulatori diversi. Durante le visite ha lasciato parlare i pazienti senza interromperli, misurando il tempo intercorso tra l’inizio e la fine evitando di far vedere al paziente che stava cronometrando il tempo su un orologio che teneva nascosto sotto il tavolo. Durante la visita Blau prendeva appunti, per parte del tempo guardava i pazienti e annuiva quando era appropriato farlo. Il tempo medio complessivo delle 100 misurazioni è risultato 1 minuto e 40 secondi. Il 70% dei pazienti ha parlato meno di 2 minuti. Solo l’11% dei pazienti ha parlato più di 5 minuti.
Lo studio condotto da Langewitz e coll. (2002) in maniera metodologicamente simile in pazienti ambulatoriali che si sottoponevano ad una visita internistica ha dato risultati analoghi. Il tempo medio di monologo del paziente che non veniva interrotto era di 1 e 45 secondi. Il 78% dei pazienti ha parlato meno di 2 minuti.
Un risultato analogo (1 minuto e 32 secondi) è stato ottenuto recentemente in uno studio sulle interruzioni (Ospina, 2019).
Quindi, in alcuni casi, superati i due minuti potrebbe essere necessario, e talora indispensabile, interrompere il colloquio con il paziente ed eventualmente con i suoi familiari. Oltre a ciò, in alcuni casi il paziente tende a divagare su argomenti completamente estranei alla visita medica ed in questi casi è utile reindirizzarlo verso i problemi che lo hanno portato in ambulatorio.
Anche nell’interruzione voluta (coscientemente) dal sanitario è possibile utilizzare delle abilità di comunicazione per rimanere in un contesto comunicativo centrato sul paziente.
Fra le varie modalità reperibili in letteratura noi abbiamo deciso di adottare, per la sua semplicità, la regola delle tre E (escuse, empathize, explain). Scusarsi per l’interruzione trasmette il messaggio che ci siamo resi conto che stiamo interrompendo il paziente e che ci dispiace farlo. Nel farlo dobbiamo empatizzare con l’argomento che il paziente sta trattando e, infine, spiegare il motivo per cui dobbiamo interromperlo (Mauksch, 2017).
In base alla regola citata, se per esempio il paziente si sta eccessivamente dilungando su un sintomo e abbiamo necessità di interromperlo potremmo usare una frase di questo tipo: «Mi spiace interrompere la sua esposizione sui dolori che l’affliggono (escuse) e comprendo che siano un aspetto molto importante della sua salute (empathize), ma ho bisogno di alcune informazioni sulla mancanza del respiro durante la notte a cui accennava prima…(explain)».
Anche quando parliamo di empatia l’obiezione che il tempo disponibile non sia sufficiente per una relazione empatica viene spesso espressa sia dagli studenti che dai sanitari che già lavorano da anni. Ma è vero che per essere empatici ci vuole più tempo? Vari studi hanno dimostrato che non esiste una correlazione tra durata della visita e lunghezza della visita. Fra questi quello più recentemente pubblicato (Kortlever, 2019) ha visto svolgersi l’indagine in ospedali ortopedici e ha dimostrato che non esiste correlazione fra empatia percepita dai pazienti e durata della visita né fra empatia percepita e durata dell’attesa prima della visita. Essere empatici non richiede più tempo che non esserlo, ma ci consente di ottenere risultati migliori a partire dalla soddisfazione del paziente e all’aderenza al trattamento.
Il tempo è scarso, ma se non impariamo a comunicare in modo efficace, lo useremo in modo peggiore.
Riference:
Beckman, H. B., & Frankel, R. M. (1984). The effect of physician behavior on the collection of data. Annals of Internal medicine, 101(5), 692-696.
Blau, J. N. (1989). Time to let the patient speak. BMJ: British Medical Journal, 298(6665), 39.
Dyche, L., & Swiderski, D. (2005). The effect of physician solicitation approaches on ability to identify patient concerns. Journal of general internal medicine, 20(3), 267-270.
Dysart, L. M., Coe, J. B., & Adams, C. L. (2011). Analysis of solicitation of client concerns in companion animal practice. Journal of the American Veterinary Medical Association, 238(12), 1609-1615.
Kortlever, J. T., Ottenhoff, J. S., Vagner, G. A., Ring, D., & Reichel, L. M. (2019). Visit Duration Does Not Correlate with Perceived Physician Empathy. JBJS, 101(4), 296-301.
Langewitz, W., Denz, M., Keller, A., Kiss, A., Rütimann, S., & Wössmer, B. (2002). Spontaneous talking time at start of consultation in outpatient clinic: cohort study. Bmj, 325(7366), 682-683.
Marvel, M. K., Epstein, R. M., Flowers, K., & Beckman, H. B. (1999). Soliciting the patient’s agenda: have we improved?. Jama, 281(3), 283-287.
Mauksch, L. B. (2017). Questioning a taboo: physicians’ interruptions during interactions with patients. Jama, 317(10), 1021-1022.
Ospina, N. S., Phillips, K. A., Rodriguez-Gutierrez, R., Castaneda-Guarderas, A., Gionfriddo, M. R., Branda, M. E., & Montori, V. M. (2019). Eliciting the patient’s agenda-secondary analysis of recorded clinical encounters. Journal of general internal medicine, 34(1), 36-40.
Rhodes, K. V., Vieth, T., He, T., Miller, A., Howes, D. S., Bailey, O., … & Levinson, W. (2004). Resuscitating the physician-patient relationship: emergency department communication in an academic medical center. Annals of emergency medicine, 44(3), 262-267.
World Health Organization, 2018. Nursing and Midwifery: Fact Sheet Retrieved from. .

L’autore

Sergio Ardis
Docente a contratto (AA 2019-2020) “Comunicazione etica in medicina” presso l’Università di Pisa

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